ROSAI: Luoghi, incontri e interni
“A chiederlo in giro, ai pochi rimasti, ormai, che lo conobbero, Ottone Rosai ebbe carattere indocile e scontroso. Ma anche paziente e delicato. E questo perché era toscano, confezionato con cultura e storia toscana.
Un impasto che a volte può procurare problemi al vivere quotidiano. Detto questo va anche detto che per Rosai questo impasto fu micidiale: fece di lui un grande artista, ma fece anche in modo che la sua restasse per molto, troppo tempo (certo almeno fino alla prima metà degli anni Settanta) a vorticare incerta nella mente dei critici. Alcuni lo vollero eccelso, incisivo nell’impatto narrativo e nell’uso del colore, altri lo considerarono un artista non completamente espresso.
Molti dei nostri valenti critici lessero la sua arte legandola alla storia del Novecento politico. E siccome una gran fetta della vita artistica di Ottone Rosai aveva attraversato il Ventennio, lo condannarono a una sorta di ottusa rimozione. E quando proprio non poterono fare a meno di ricordarlo, lo fecero con una altrettanto ottusa sufficienza.
In Ottone Rosai la provincia, anzi, la fiorentinità, come direbbe Emilio Cecchi, non è mai stata una corrente intellettuale. È stata una realtà interiore sulla quale ha basato il suo destino. Ha giocato la sua storia di uomo e di artista…”
Umberto Cecchi, “Rosai e il peccato originale”